Perché un calendario del Controavvento?
Questa è la prima domanda a cui abbiamo provato a rispondere quando abbiamo scelto di mettere su questo progetto.
Perché un calendario del Controavvento?
Questa è la prima domanda a cui abbiamo provato a rispondere quando abbiamo scelto di mettere su questo progetto.
Contro e contrario sembrano essere state le parole che hanno caratterizzato il mio ultimo anno. A fine 2019 mi dimettevo volontariamente dal posto fisso, contro l’opinione di quasi chiunque. Fatti licenziare, mi hanno detto. Trovati prima un altro lavoro e poi vattene. Io, invece, sono andata dritta per la mia strada immaginaria. Ovviamente è stata una scelta sostenuta, anche economicamente, dalle persone a me più vicine, ma alla base c’era una mia volontà che si sarebbe espressa comunque.
Il calendario del Controavvento, quindi, è il simbolo di quest’anno. Contrariamente a quanto si dice, i rapporti da remoto possono nascere e prosperare e questo progetto è la dimostrazione di una collaborazione gestita quasi del tutto da lontano. In più esprime un’esigenza comune di andare contro a tutta quella mole di informazioni, competenze, stimoli che ci sono piovuti addosso in quest’anno particolare.
A un certo punto mi sono sentita sopraffatta da questa iper attività che circolava online e ho sentito il bisogno di qualcosa che fosse diverso, più intimo, che non fosse invasivo e che, soprattutto, non mi facesse sentire inadeguata. Io volevo sapere che si può stare davanti alla Playstation, si può mettere in pausa una persona su Facebook, si può avere paura e non averne allo stesso tempo. Questo progetto mi ha permesso di tradurre uno dei miei pensieri più ricorrenti dell’ultimo anno: “e sticazzi?”
Perché in un anno che è passato come un tornado su ogni piccola e grande certezza che avevamo, onestamente, mi sembrava il minimo seguire il flusso.
Duemilaevventi, tu mi provochi? Io non me te magno, ma per lo meno provo ad assecondarti e mi sbarazzo di certezze e di standard.
Viviamo in un mondo che non è abituato a fermarsi, in preda a una fear of missing out che ci vuole onnipresenti in ogni ambiente e sempre sul pezzo, in una società che si esalta per le pubblicità un po’ “contro” ma che poi se nella vita quotidiana esci da una certa logica (in ogni ambito), non perde tempo ad additarti come la persona troppo o troppo poco, controcorrente per moda e non per convinzione, quella che si espone troppo o non si espone mai… insomma, mi hai capita.
Nonostante una situazione come quella che viviamo, percepisco ancora con forza l’affanno a cambiare tutto perché non cambi nulla. Lo senti anche tu? Se sì, sei nel posto giusto.
E poi io sono sempre stata quella che preferiva il gruppo spalla ai musicisti principali, il backstage al palco, quella sempre un po’ al contrario. Con questo spirito, nell’ultimo periodo più che mai, sto mettendo in discussione i “si fa così” per lasciare spazio ai “faccio quello che mi sento”. Per dimostrare a me stessa, prima di tutto, che posso e possiamo liberarci da dogmi e strutture già impostate. E fare come mi va, fosse pure un calendario dell’Avvento al contrario.
Nell’anno in cui mi affannavo a capire perché mi sentissi così lontana da me, inadeguata nel posto in cui ero, disorientata, rallentata e fuori dai tempi richiesti. Nel periodo in cui dalla mattina alla sera mi sentivo brancolare nel buio, afferrando a casaccio tutto quello che arrivava alla ricerca disperata della strada da prendere, una pandemia mondiale è arrivata dicendo che dovevo imparare a lasciar andare. Le ansie, le paure, gli affetti, quello che credevo di aver fatto bene e quello che sapevo di non aver fatto. Tutto, lasciar fluire tutto.
Sono stati tre mesi surreali durante i quali mi sono resa conto dell’enorme senso di colpa generalizzato che avevo lasciato ingigantirsi e schiacciarmi ogni giorno. Me ne sono accorta perché improvvisamente non lo sentivo più. Tutti eravamo costretti al fermo, tutti quanti, senza distinzione, tutti chiusi dentro a fare i conti con noi stessi e come gli altri mi sentivo completamente impotente.
Adesso se ci penso, già a giugno, la vita “normale” di prima la localizzavo ne “l’anno scorso”, con questo grande buco nero nel mezzo, come se il tempo stesso fosse rimasto in stallo. E che anno è un anno in cui si ferma il tempo? Il tempo va solo in avanti giusto? Non può cambiare direzione ma… Il modo in cui lo affrontiamo, lo gestiamo, dilatandolo, accorciandolo, quello dipende da noi, e noi possiamo fare una cosa che il tempo non può fare: andare in direzione contraria che non per forza vuol dire tornare indietro.
E se un intero anno è stato avverso, per il prossimo, che ne dite di partire già contro vento?
A Gennaio 2020 seguivo la scia dei buoni propositi e poi all’improvviso SBAM: l’imprevisto accade.
Non importava quante dosi di ottimismo avessi di scorta, quante preoccupazioni cercassi di nascondere.
Stavo dando fondo a tutte le mie energie, per cercare di “essere all’altezza” di ogni situazione.
Mi sono fermata a considerare quanto siamo abituati a dare per scontato processi, meccanismi che agiscono intorno a noi ma che, forse, non sempre ci appartengono.
Ho iniziato ad accogliere le mie fragilità, ad abbracciare la paura. A capire che non c’è una versione migliore di sé stessi. Siamo noi stessi e basta.
Ho festeggiato i miei 30 anni soffiando su una carota, perché sì: un anno demmerda può anche regalarti nuove meravigliose amiche che non sbuffano quando scoprono tu-essere-vegana.
Ho cavalcato l’imperfezione, riscoprendomi splendente in pigiama e coi capelli arruffati.
Ho iniziato a dire NO senza sentirmi in colpa, a “reclamare” il mio tempo, il mio spazio.
Ho liberato la voglia di non avere voglia, di spegnere la sveglia e passeggiare in riva al mare anche con l’agenda zeppa di cose da fare.
È questo l’avvento che cercavo. Un tempo per essere foglia e sentirmi libera di volare sulla scia di un vento contrario.
Il mondo è in fermento perché mai come ora chi si ferma è perduto: bisogna fare qualcosa, bisogna esprimere un’opinione (che sia conforme, però, al pensiero di massa), bisogna sforzarsi di fare buon viso a cattivo gioco. No. Io ho bisogno di sapere che non bisogna fare un cazzo, se mi gira così, senza sentirmi giudicata. Per me questo è lo spirito del Controavvento: un piccolo spazio di libertà da cui trarre degli stimoli, senza però sentire la pressione di trasformarli immediatamente in un’azione concreta, seguendo i miei tempi e assecondando le mie inclinazioni.
Un due tre…stella! Fermi tutti. Fermo tutto.
Tranne il tempo, che ha scandito in quest’anno il suo ritmo con un passo lento, pesante e carico di incertezza.
Propositi, progetti lavorativi e aspettative personali sono stati messi a dura prova, e per non perdersi, per provare a realizzarsi nonostante tutto, hanno dovuto cercare una strada nuova, diversa da quella prevista nei piani.
E allora siamo andati a pesca, dentro di noi, di tutte le nostre risorse per cercare una quotidianità che ci facesse andare avanti senza perdere il filo delle nostre vite.
Un anno tosto, a cui abbiamo risposto con tutta la nostra tenacia: non soccombere all’imprevisto, riprogrammare. Attendere, resistere. Cambiare, improvvisare.
Ma anche creare: qualcosa di nuovo, di bello, di inaspettato.
È quello che è venuto fuori insieme alle mie prodi compagne di avventura, in questo anno dove è nato il nostro confronto e scambio telematico, ogni settimana. Il controavvento è il nostro primogenito: la raccolta delle nostre idee, la somma delle nostre identità umane e professionali, il nostro modo di dare commiato (con pernacchia) a questo simpaticissimo 2020.
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!